INCARICO DI PROGETTAZIONE SENZA CORRISPETTIVO E IL POTENZIALE RITORNO DI IMMAGINE PER IL PROFESSIONISTA

Giurisprudenza

di Mario Lavatelli
Avvocato, consulente legale dell’Ordine

È legittimo il bando che prevede l’affidamento gratuito di un appalto di servizi, avente ad oggetto l’elaborazione, stesura e redazione integrale del piano strutturale di un Comune e del relativo regolamento urbanistico.
Così il Consiglio di Stato (Cons. di Stato, V sez., n. 4614/2017) ha deciso nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti dirigenziali del Comune di Catanzaro dell’ottobre 2016 di approvazione del bando e del disciplinare di gara della “procedura aperta per l’affidamento dell’incarico per la redazione del pianto strutturale del comune di Catanzaro e relativo regolamento urbanistico”, nonché del capitolato speciale e della presupposta delibera di Giunta comunale del 17 febbraio 2016, con cui era stata condivisa la possibilità di formulare un bando contemplante incarichi professionali a titolo gratuito.
La sentenza ha portata innovativa e suscita riflessioni sulla natura delle professioni intellettuali e sulla compatibilità degli incarichi gratuiti con le norme sui contratti pubblici.
Il Consiglio di Stato ha riformato integralmente la sentenza del Giudice di Primo grado affermando che “la garanzia di serietà e affidabilità, intrinseca alla ragione economica a contrarre, infatti, non necessariamente trova fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale, che resti comunque a carico della Amministrazione appaltante: ma può avere analoga ragione anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca o si immagini vada ad essere generata dal concreto contratto”.
In buona sostanza, il Consiglio di Stato attribuisce rilevanza al compenso economicamente inteso, seppure in senso “debole”, e non già al compenso meramente monetario.
Sebbene venga data spesso rilevanza, nella giurisprudenza in materia di contratti pubblici, al vantaggio conseguibile anche in via indiretta, affermare la legittimità di un bando di gara ove sia richiesta una prestazione professionale a titolo gratuito, salvo il solo rimborso spese, è cosa ben diversa.
Ma prima di soffermarsi sulla natura della prestazione intellettuale, occorre esaminare su quali motivazioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto che i “contratti a titolo oneroso”, ma di fatto gratuito, possono garantire la serietà dell’offerta e l’affidabilità dell’offerente, attesa la possibilità, solo ipotetica, di assicurare il conseguimento di vantaggi economicamente apprezzabili anche se non strettamente finanziari.
Il Giudice amministrativo, a sostegno della propria tesi, richiama, in primis, la giurisprudenza nazionale che ammette la partecipazione alle gare pubbliche di soggetti senza fine di lucro che perseguono scopi sociali o mutualistici. Su tali basi, secondo il Consiglio di Stato, l’utile finanziario non dovrebbe considerarsi elemento indispensabile della disciplina dei contratti pubblici.
Inoltre, il Consiglio di Stato richiama la giurisprudenza europea, secondo cui l’obiettivo della Dir. 93/37/CEE sugli appalti pubblici di lavori, ove è previsto che “gli appalti pubblici di lavori sono contratti a titolo oneroso”, va interpretato “in modo da assicurare l’effetto utile della direttiva medesima”.
Da ultimo, il Consiglio di Stato costruisce un parallelismo con l’istituto giuridico della sponsorizzazione (art. 19, D.Lgs. n. 50/2016 e art. 199 bis, D.Lgs. n. 163/2006, e nel settore dei beni culturali art. 120, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42).
Tanto esposto, deve ritenersi non pienamente condivisibile la scelta di imporre l’esercizio gratuito di prestazioni di servizi.
Tale imposizione, ben deve distinguersi dalla possibilità, per il cittadino, o per il professionista, che voglia sua sponte prestare la propria opera gratuitamente.
Neppure possono condividersi pienamente le argomentazioni giuridiche utilizzate dal Consiglio di Stato.
Ritenere legittimo un bando per l’esecuzione di prestazioni intellettuali a titolo gratuito è ben diverso dal considerare ammissibile la partecipazione di associazioni senza scopo di lucro a gare disciplinate dal codice dei contratti pubblici.
I primi eseguono prestazioni dietro compenso che, a seconda dell’oggetto, possono qualificarsi come obbligazioni di mezzi o di risultato.
Le seconde, invece, per statuto da loro stesse costituito, si propongono finalità sociali senza scopo di lucro.
Ancora non può condividersi l’interpretazione della normativa europea che ritiene gli appalti pubblici, contratti a titolo oneroso e non già contratti a titolo oneroso in senso “debole” come ritenuto da questo Consiglio di Stato con motivazione tautologica.
Il Giudice di massimo grado, infatti, per motivare la possibilità di ammettere gare che richiedano prestazioni gratuite ai professionisti, afferma che la normativa europea qualifica gli appalti pubblici come contratti a titolo oneroso e che tale onerosità deve intendersi in senso debole, senza tuttavia spiegarne il motivo.
Infine, terza ed ultima non condivisibile argomentazione utilizzata dal Giudice amministrativo è l’analogia tra un bando di gara che richieda prestazioni intellettuali gratuite e il contratto di sponsorizzazione.
Deve osservarsi che la sponsorizzazione non è un contratto a titolo gratuito, in quanto alla prestazione dello sponsor, che non comporta un impegno di spesa per l’Amministrazione, corrisponde l’acquisizione, in favore dello stesso sponsor, del diritto all’uso promozionale dell’immagine della cosa di titolarità pubblica: il motivo che muove quest’ultimo alla dazione di denaro è l’utilità costituita ex novo dall’opportunità di spendita dell’immagine.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. sez. III, 28 marzo 2006, n. 7083), dalla quale può desumersi una definizione del contratto di sponsorizzazione, afferma che “il cosiddetto contratto di sponsorizzazione – figura non specificatamente disciplinata dalla legge – comprende una serie di ipotesi nelle quali un soggetto – il quale viene detto “sponsorizzato” (ovvero, secondo la terminologia anglosassone, sponsee) – si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l’uso della propria immagine e del proprio nome per promuovere presso il pubblico un marchio o un prodotto; tale uso dell’immagine pubblica può anche prevedere che lo sponsee tenga determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto di commercializzazione. L’obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha natura patrimoniale, ai sensi dell’art. 1174 c.c., e corrisponde all’affermarsi, nel costume sociale, della commercializzazione del nome e dell’immagine personale e viene accompagnata, di regola, da un diritto di esclusiva”
Con la sponsorizzazione si ha, dunque, lo scambio di denaro contro un’utilità immateriale, costituita dal ritorno di immagine.
Nell’appalto di servizi gratuito, invece, non solo la prestazione determinata è espressamente non retribuita per volontà della sola Amministrazione, ma neppure può dirsi che il requisito dell’onerosità, al fine dell’applicabilità della disciplina in materia di contratti pubblici, sia soddisfatta dall’utilità immateriale, individuabile nel ritorno di immagine.
Tale utilità, infatti, è solo potenziale.
Ragionando per assurdo, qualora non vi fosse un ritorno positivo di immagine, dovrebbe potersi procedere alla risoluzione del contratto e alla conseguente proposizione di domanda risarcitoria.
È evidente come il ritorno di immagine non possa considerarsi controprestazione principale, né finanziariamente, né economicamente.
Il ritorno di immagine è un effetto secondario del contratto che può caratterizzare qualsiasi contratto, a titolo oneroso o a titolo gratuito e non può rappresentare il discrimine tra l’uno e l’altro.
Inoltre, un bando di gara che prevede l’aggiudicazione a prezzo “0” di un appalto di servizi avente ad oggetto prestazioni intellettuali pare porsi in contrasto con il principio costituzionalmente garantito di cui all’art. 36 Cost.
Come affermato dalla dottrina (v. L. Marzano, Incarico di progettazione, giur.it, 2018, 1, 168), la gratuità non ha ad oggetto un’attività imprenditoriale, nella quale può essere ipotizzabile la presenza di economie di scala (e lo stesso vale per i grandi studi di progettazione) tali da rendere conveniente perfino l’assenza di utile finanziario, bensì una prestazione professionale, ossia una delle declinazioni tipiche dell’attività lavorativa umana.
Si aggiunga che l’aggiudicazione gratuita, sebbene non comporti conseguenze negative, almeno dirette, per l’Amministrazione, può comportare sanzioni disciplinari per l’ingegnere.
Deve ricordarsi, infatti, che l’art. 11.4 del codice deontologico, prevede che l’ingegnere può fornire prestazioni professionali a titolo gratuito solo in casi particolari quando sussistano valide motivazioni ideali ed umanitarie: non certo per la realizzazione ordinaria di un piano strutturale di un Comune e del relativo regolamento urbanistico.
Da ultimo, occorre guardare al dato normativo, il quale da solo deve ritenersi risolutivo di qualsivoglia dubbio interpretativo sull’ammissibilità di bandi di gara che prevedono l’aggiudicazione di appalti di servizi che richiedono prestazioni intellettuali a titolo gratuito.
L’art. 24, comma 8 ter, del Codice dei Contratti pubblici, d.lgs. 50/2016, come modificato dal correttivo, d.lgs n. 56 del 19.04.2017, prevede che “nei contratti aventi ad oggetto servizi di ingegneria e architettura la stazione appaltante non può prevedere quale corrispettivo forme di sponsorizzazione o di rimborso, ad eccezione dei contratti relativi ai beni culturali, secondo quanto previsto dall’art. 151”.
Come accade raramente, il legislatore ha risolto una questione interpretativa di natura giurisprudenziale.
Il compenso del professionista è salvo.

di Mario Lavatelli
Avvocato, consulente legale dell’Ordine