INGEGNERI: TRA SEGRETO, RISERVATEZZA E TUTELA DELLA COLLETTIVITA’

Giurisprudenza

di Mario Lavatelli
Avvocato, consulente legale dell’Ordine

Nelle premesse del Codice deontologico degli Ingegneri italiani è chiarito che “Gli iscritti all’albo degli ingegneri del territorio nazionale hanno coscienza che l’attività dell’ingegnere è una risorsa che deve essere tutelata e che implica doveri e responsabilità nei confronti della collettività e dell’ambiente ed è decisiva per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile e per la sicurezza, il benessere delle persone, il corretto utilizzo delle risorse e la qualità della vita.

Sono consapevoli che, per raggiungere nel modo migliore tali obiettivi, sono tenuti costantemente a migliorare le proprie capacità e conoscenze ed a garantire il corretto esercizio della professione secondo i principi di autonomia intellettuale, trasparenza, lealtà e qualità della prestazione, indipendentemente dalla loro posizione e dal ruolo ricoperto nell’attività lavorativa e nell’ambito professionale.

Sono altresì consapevoli che è dovere deontologico primario dell’Ingegnere svolgere la professione in aderenza ai principi costituzionali ed alla legge, sottrarsi ad ogni forma di condizionamento diretto od indiretto che possa alterare il corretto esercizio dell’attività professionale e, in caso di calamità, rendere disponibili le proprie competenze coordinandosi con le strutture preposte alla gestione delle emergenze presenti nel territorio”.

In tale contesto si inserisce anche il dovere di riservatezza e di segreto professionale.

È stato affermato: “Il segreto è qualcosa di più della riservatezza, che pure è un bene giuridico tutelato da una pluralità di norme: mentre infatti la riservatezza è un modo di escludere la conoscenza di un particolare aspetto della persona (diritto all’immagine, alla voce), e quindi un modo di essere negativo, il segreto copre tutti gli atti e quindi è un modo di essere completamente negativo, sia nella divulgazione che nella stessa conoscenza” (R. Danovi, che cita A. De Cupis).

Il Codice deontologico degli Ingegneri di Como non distingue il concetto di riservatezza dal segreto professionale e, all’art. 6, con rubrica “riservatezza” impone all’Ingegnere di mantenere il segreto professionale sulle informazioni assunte nell’esecuzione dell’incarico professionale e di garantire le condizioni per il rispetto di esso a coloro che hanno collaborato alla prestazione professionale.

Si tratta, sotto questo profilo, di un’applicazione dell’art. 622 c.p., in forza del quale il dovere di fedeltà, nel quale si compendia il divieto di rivelazione del segreto professionale, si estende allo “stato”, intendendosi quella particolare condizione in cui si trova la persona che abbia rapporti di coniugio, convivenza, dipendenza con il professionista (si pensi alle persone di famiglia, ai segretari, praticanti, collaboratori vari).

L’obbligo del segreto va osservato anche quando l’incarico è concluso, rinunciato o non accettato.

È importante considerare che la norma penale richiamata prevede che la divulgazione è consentita quando ricorre una giusta causa.

Essa può consistere nel consenso o nella ratifica da parte del titolare del segreto, ma può anche connettersi a norme giuridiche che impongono la rivelazione o danno al professionista la facoltà di effettuarle.

L’art. 622 c.p. sanziona chiunque rivela il segreto professionale “se dal fatto può derivare nocumento”.

I commentatori precisano che esso si configura anche come semplice possibilità che si verifichi.

Per contro, può sussistere il cd. nocumento giusto quando la rivelazione del segreto sia necessaria per tutelare un legittimo interesse, proprio o altrui, ovvero quando, conservando il segreto, si occulterebbe l’esistenza di un reato.

Afferma la giurisprudenza di merito che “affinché la rivelazione di segreti professionali possa ritenersi scriminata in ragione della sussistenza di una giusta causa è necessario che la giusta causa presupponga la presenza di un interesse positivamente valutato sul piano etico-sociale, che tale interesse sia proporzionato a quello posto in pericolo dalla rivelazione e che la rivelazione costituisca l’unico mezzo per evitare il pregiudizio dell’interesse riconoscibile in capo all’autore della stessa” (Tribunale Napoli 15.1.2003).

Ed ancora: “Se il delitto di rivelazione di segreto professionale ex art. 622 c.p. è preposto alla tutela della libertà e della sicurezza dell’individuo, imponendo al professionista obblighi di fedeltà e di riservatezza, tali obblighi non vengono meno per il solo fatto che il destinatario della notizia segreta ne sia già a conoscenza, ma è soltanto la “notorietà” in senso proprio della notizia che può escludere che la comunicazione assuma significato penalistico, in quanto viene definitivamente meno il segreto da tutelare” (Tribunale Napoli 15.1.2003 cit.).

In tema di rivelazione di segreto professionale (art. 622 c.p.), il pericolo di nocumento, inteso come pregiudizio reale di qualunque natura, purché giuridicamente apprezzabile, costituisce condizione obiettiva di punibilità del reato che non può essere considerata presunta, ma deve essere individuata in sentenza con dati chiaramente significativi della sua esistenza.

Ai fini dell’integrazione del reato di rivelazione di segreto professionale è dunque necessario che possa derivare un pregiudizio apprezzabile per il titolare del diritto alla segretezza, “considerato quale condizione obiettiva di punibilità, la cui desumibilità deve derivare da elementi di fatto significativi della produzione di un pregiudizio giuridicamente apprezzabile, di natura patrimoniale o non patrimoniale, o, quanto meno, dalla presenza di un pericolo concreto di un pregiudizio con tali caratteristiche. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva ritenuto in re ipsa il pericolo di pregiudizio in ragione della semplice comunicazione delle informazioni riservate senza dar conto dei significativi elementi viceversa richiesti)” (Cassazione penale, 7.3.2016, n. 34913).

Si aggiunga che, in caso di deposizione, inoltre l’art. 200 c.p.p. annovera tra i soggetti che “non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria”, i professionisti ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.

Tanto esposto, sia consentito osservare che l’ingegnere, benché tenuto a tutelare il proprio committente, in forza di precisa norma deontologica, deve tutelare “preminentemente” la collettività (art. 18 codice deontologico Ordine Ingegneri Como).

Si noti altresì che, nei rapporti col committente, sussiste anche l’obbligo di riservatezza (art. 14 cod. deont. cit.) in forza del quale “14.2 L’ingegnere è tenuto al segreto professionale; non può quindi, senza esplicita autorizzazione della Committenza, divulgare quanto sia venuto a conoscere nell’espletamento delle proprie prestazioni professionali”.

I gravi episodi di eventi dannosi che hanno suscitato grande clamore e sgomento da parte della collettività pongono in piena luce i principi che si sono brevemente riportati.

Quando l’Ingegnere, per effetto della propria competenza professionale, si accorga del pericolo che un manufatto potrebbe arrecare alla collettività, non può certo rimanere nella, pur doverosa, tutela di un eventuale proprio committente (pubblico, concessionario di bene pubblico, o privato), mantenendo anche solo provvisoriamente il segreto professionale, ma deve apprestare tutela alla collettività.

Tutto quanto egli avrà conosciuto, anche per comunicazioni da parte del committente, o documentazione ricevuta, dovrà essere portato a conoscenza della pubblica autorità nel caso in cui l’Ingegnere ravvisi un pericolo per la collettività.

Certe critiche che si sono lette in alcuni siti paiono lesive della dignità professionale degli Ingegneri e devono essere contraddette soprattutto con l’esercizio quotidiano di una responsabile opera professionale, come avviene da parte della stragrande maggioranza dei professionisti tecnici.

di Mario Lavatelli
Avvocato, consulente legale dell’Ordine