Il crollo del ponte visto con gli occhi di Arianna Minoretti

Il crollo del ponte visto con gli occhi di Arianna Minoretti

Notizie

di Cristina Pacher

Fotografie: Statens Vegvesen

In attesa di sentire il 13 aprile 2019 la sua esperienza sul ponte Archimede e l’idea visionaria insita in essa, proponiamo l’intervista ad Arianna Minoretti contenuta nell’inserto “14 agosto 2018 Ponte Morandi. Sentimenti Scientifici di un crollo” .

 

  • Come hai appreso la notizia della caduta del ponte Morandi e cosa hai provato?

Mentre ero al lavoro, un collega mi ha chiesto notizie su quello che era successo in Italia. Al momento ho pensato scherzasse, riferendosi ad un qualche avvenimento politico (accade spesso, purtroppo, di sentire qualche battuta sull’argomento, quando si vive all’estero). Dopo aver controllato le notizie on-line, ho visto quanto era accaduto. La prima sensazione e’ stata di paura sia perché si immaginano le conseguenze in termini di vite sia perché vedere una struttura cosi’ imponente crollata è un’immagine scioccante. Successivamente è subentrata la tristezza, perché quello che si è verificato a Genova è un’enorme perdita in termini umani e culturali.

 

  • Ti piaceva il ponte sul Polcevera progettato da Morandi?

Da ingegnere posso rispondere dicendo che il ponte Morandi, insieme a molte altre strutture sul territorio,  ha rappresentato un periodo florido per l’ingegneria italiana, in cui vi era molto spazio per la ricerca e l’innovazione.

 

  • Pensi che per Genova sia auspicabile un intervento di recupero o di totale ricostruzione?

Non esiste una risposta a priori.  Vanno valutate le varie opzioni considerando non solo la loro fattibilità odierna, in termini  economici e di tempistiche, ma anche l’impatto economico sulla società durante tutta la loro vita utile.

 

  • Parliamo di te. Cosa vuol dire essere parte di uno studio innovativo sulla rete infrastrutturale e coordinare uno studio come quello sul ponte di Archimede?

Questi studi futuristici per la E39 sono solo una parte del lavoro che svolgo per l’amministrazione pubblica norvegese; parimenti mi occupo anche  della progettazione di strutture da ponte più’ tradizionali, collaboro a studi di ricerca con università’ ed altri enti, redigo delle normative…Rimane il fatto che   la Norvegia sta investendo molto nel miglioramento della propria rete infrastrutturale e gli ostacoli naturali comportano uno sforzo aggiuntivo nel dover pensare a soluzioni innovative. Poter far parte di questi studi é sicuramente un’ occasione unica a livello professionale.

 

  • Credi che le soluzioni innovative che avete elaborato verranno realizzate?

Sono molto positiva al riguardo. Spesso la scelta finale sulla tipologia di ponte è, purtroppo, una questione di costi e, visto che per ogni attraversamento ci sono diverse soluzioni progettuali possibili, attualmente il concetto del ponte di Archimede non e’ stato ancora scelto per la fase successiva di progettazione per gli attraversamenti sui fiordi che stiamo progettando lungo la E39. Certo, ci sono ancora attraversamenti che dobbiamo analizzare, quindi è tutto da vedere.

E’ evidente ormai come in molti si siano  accorti del grande potenziale che ha questa tecnologia: dopo lo sforzo di pubblicazione fatto per diffondere la nostra conoscenza su questa struttura, abbiamo iniziato a ricevere numerose richieste di collaborazione scientifica da amministrazioni pubbliche, università e consulenti sparsi per tutto il mondo. Abbiamo anche iniziato a lavorare alle normative relative a questa nuova struttura, sia a livello nazionale che Europeo e , addirittura,  mondiale.

Indipendentemente dalla realizzazione del ponte di Archimede, il percorso fatto fino ad ora è già’ di per sé talmente appagante, dal punto di vista professionale, che non mi soffermo a pensare troppo a chi costruirà il primo.

E’ come nella poesia di Kavafis (Itaca): “devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze..”.

 

  • Com’è stato andar via dall’Italia?

Impegnativo. Quando si parla di chi va a lavorare all’estero si pensa che sia una strada facile. Non è così. Dopo dieci anni di pratica professionale ho ricominciato da zero: nuovo lavoro, nuovi colleghi, nuovi programmi, nuove normative, lingua… L’inglese, con il quale inizi a vivere qui, non è comunque la tua lingua madre. Poi subentra la necessita’ di imparare il norvegese, una lingua dai tanti dialetti e in una terra dove i vicini Danesi e Svedesi parlano la loro lingua perché’ tanto chi parla norvegese li capisce. In aggiunta si e’ lontani da ‘casa’, dai propri affetti, dai posti dove si è cresciuti e che si riconosce, catapultati in un ambito internazionale dove la competizione, le competenze e le culture sono ormai in scala mondiale.

Ci vogliono tempo e determinazione.  Se, però, si riesce nell’impresa, se ne esce  arricchiti in modo inimmaginabile sia dal punto di vista professionale che umano.

 

  • Cosa vorresti in un futuro?

Non so se sarà’ possibile, ma se ci fossero le condizioni sarei lieta di ridare al paese che mi ha formata un po’ della mia nuova competenza.

di Cristina Pacher

Fotografie: Statens Vegvesen