Il 17 gennaio si è tenuta a Berlino la conferenza Fashion Sustain Berlin, un’interessante occasione per gli operatori del settore moda ed i loro potenziali fornitori di fare network su tematiche di stringente attualità.
Il focus dell’incontro è stato l’economia circolare, nelle sue molteplici ed incredibilmente entusiasmanti declinazioni.
Non è scontato né facile potersi entusiasmare quando si parla di danni ambientali da evitare ad ogni costo o di discariche sature di prodotti che si sarebbero potuti riciclare, eppure è proprio ciò che è accaduto nel freddo Kraftwerk Berlin, l’edificio industriale che ospitava la fiera.
Come è emerso dalle presentazioni in conferenza, il punto cruciale quando si parla di circolarità è il “network”.
Raramente infatti riusciremo a produrre nuove T-shirt riciclando vecchi maglioni, nuove borse con la pelle di vecchie scarpe e così via. E quando è tecnicamente possibile farlo, spesso non c’è convenienza da un punto di vista ecologico ed energetico.
Ad esempio, se la composizione di un tessuto è mista, riciclarlo diventa complicato e richiede l’intervento di processi chimici anziché puramente meccanici, dunque l’impiego di sostanze potenzialmente inquinanti.
A volte, inoltre, riciclare un tessuto richiede un consumo di energia superiore a quello previsto per la produzione dello stesso da materiale vergine.
Qual è allora la soluzione per mandare meno rifiuti in discarica e riciclarli in modo conveniente?
La risposta di Fashion Sustain è sviluppare delle collaborazioni innovative tra aziende operanti in settori differenti, in modo da dare ad ogni materiale la possibilità di avere più vite utili, trasformandosi di volta in volta in qualcosa di molto diverso.
La poliammide, ad esempio, ha cinque vite utili, di qualità via via minore, quindi una fodera in nylon può essere fusa per diventare il componente di un autoveicolo e poi ancora, dopo qualche lustro, parte di un oggetto di arredamento. Perché ciò accada tre aziende operanti nei relativi settori dovrebbero incontrarsi, comunicare e capire come poter combinare le proprie attività in modo da risolversi reciprocamente dei problemi in maniera economicamente conveniente.
A Berlino ho conosciuto molti esempi di come idee del genere, inserite nel giusto contesto e sviluppate con una certa dose di impegno e sincero interesse per le tematiche ambientali, abbiano dato esiti insperati dal punto di vista di qualità, risultato economico e ovviamente ritorno di immagine.
La vicentina Perpetua recupera la grafite dalla lavorazione degli elettrodi e ha brevettato una sospensione di grafite in acqua con cui tingere tessuto jeans, con il duplice effetto di dare uno scopo ad un rifiuto industriale e di abbassare notevolmente il consumo di acqua, energia e sostanze chimiche nella fase di tintura tessile.
Q-milk recupera il latte non edibile secondo le vigenti norme europee e ne usa le proteine per sviluppare un biopolimero naturalmente antibatterico, con ottime proprietà fisiche e di lavorabilità, senza l’impiego di solventi o plasticizzanti.
Se la tedesca Q-milk ha creato un ponte tra l’allevamento e il variopinto mondo della plastica, la spagnola Ecoalf ha la missione di ripulire gli oceani dalla presenza invasiva di bottiglie di PET e reti da pesca di nylon.
Con la collaborazione di una flotta di pescherecci di Alicante, che quotidianamente intrappolano nelle reti tonnellate di rifiuti, hanno avviato il progetto “Upcycling the Ocean”, con il quale produrre tessuti sintetici, calzature ed accessori.
Nel secolo scorso la vicinanza geografica di aziende diverse rendeva certe collaborazioni più facilmente praticabili. Oggi la globalizzazione ha creato dei distretti chiusi e dislocati sul pianeta, per cui un’azienda alimentare spagnola avrà difficoltà a collaborare con una tintoria cinese per usare bucce di agrumi nella tintura di jeans. Ma se la stessa idea viene applicata ad una filiera più corta, interamente localizzata in Spagna, si crea un equilibrio inedito: lo scarto della produzione di succhi di frutta viene smaltito gratuitamente, le acque reflue di tintoria contengono meno sostanze inquinanti e depurarle costerà meno, i clienti sono coinvolti nella storia squisitamente locale ed unica del capo acquistato.
Il settore del tessile può quindi collaborare con l’agroalimentare o la cosmetica per i materiali in ingresso e con l’edilizia per riciclare vecchi abiti facendone materiale isolante.
La gamma di opportunità è potenzialmente infinita, la fattibilità economica esiste e la possibilità di dare uno scopo a materiali che andrebbero altrimenti ad intasare ed intossicare il nostro pianeta è un incentivo allettante per avviare qualche interessante conversazione.