Il c.d. sblocca-cantieri, ora legge dello Stato, in vigore dal 17 giugno 2019, ha introdotto importanti modifiche al Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 50/2016) e al Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. 380/2001).
Focalizzando l’attenzione sulle modifiche apportate al T.U. dell’Edilizia si osserva come esse interessino anche le distanze minime tra i fabbricati e le operazioni di demolizione/ricostruzione.
La riforma si pone l’obiettivo di indurre una drastica riduzione del consumo di suolo, di favorire la rigenerazione e la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate.
La finalità della norma, dunque, è urbanistica e non solo meramente edilizia.
Occorre notare fin da subito che la legge di conversione del c.d. sblocca cantieri non modifica il d.m. 1444/68, ma l’articolo 2bis del dPR 380/2001.
In particolare, l’art. 5 della citata legge di conversione (l. 32/2019), contenente norme in materia di rigenerazione urbana, prevede che all’articolo 2-bis del testo unico di cui al d.P.R. 380/2001, dopo il comma 1, siano aggiunti i seguenti commi:
1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo;
b-bis) le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9.
Il Legislatore ha previsto che le operazioni di demolizione e ricostruzione, sono sempre ammissibili, purché vengano realizzate nel rispetto del precedente sedime, delle distanze preesistenti e senza incremento volumetrico, o di altezza.
In materia di distanze, disciplinate dall’art. 9 del d.m. 1444/1968, il Legislatore (art. 5, comma b-bis L. 55/2019) ha disposto che tali previsioni si applicano esclusivamente alle zone di espansione C.
L’ultimo comma dell’articolo in esame potrebbe costituire norma c.d. di interpretazione autentica in quanto prevede testualmente che “le disposizioni di cui all’art. 9 […] si interpretano nel senso che…”.
Conseguentemente, essa avrebbe efficacia retroattiva.
Tuttavia, attesa la portata modificativa del significato della norma precedentemente in vigore, non si esclude possa intendersi come norma novativa e, quindi, con solo efficacia ex nunc.
Deve rilevarsi che secondo i principi la norma interpretativa si può definire tale quando è volta a risolvere un contrasto sorto circa il significato di una norma precedente, contrasto che, nel caso di specie, dovrebbe risalire ad un testo normativo del 1968.
Al definitivo, il Legislatore si sarebbe “accorto” del contrasto dopo 50 anni.
Giova tener presente che anche intendendo la norma “di interpretazione autentica” e con efficacia retroattiva, la stessa non inciderebbe, comunque, sul giudicato formatosi sotto la vigenza della legge precedente.
Deve osservarsi, altresì, la portata innovativa del comma 1-ter che ammette ex lege tutti gli interventi di demolizione con ricostruzione a parità di sedime e volume, entro i limiti dell’altezza preesistente, nel rispetto delle distanze preesistenti.
Le distanze minime tra edifici dettate dall’art. 9, commi 2 e 3, del DM 1444/1968, per espressa previsione di legge, come già anticipato, si applicano obbligatoriamente solo alle zone C di espansione.
Occorre domandarsi, invece, cosa accade per le medesime ipotesi descritte, se ricadenti nelle zone A), B), D).
In tali zone i Comuni, nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio, dovranno adeguare i propri strumenti urbanistici sulla base delle disposizioni adottate da Regioni e Province autonome in deroga ai limiti di densità edilizia, altezza e distanza stabiliti, rispettivamente, dagli articoli 7, 8 e 9 del DM 1444/1968.
Dovranno essere le Regioni a dettare disposizioni in merito.
In caso di inerzia, troveranno applicazione le disposizioni già presenti negli strumenti urbanistici e, in subordine, i limiti previsti dagli artt. 873 c.c. e ss., dovendosi considerare che la norma statale non contempla alcuna sanzione o misura alternativa a carico delle Regioni.
Il Legislatore non modifica il d.m. 1444/68, ma più semplicemente consente la deroga.
Sul punto, pertanto, permangono delle perplessità.
Non si comprende la necessità del Legislatore di consentire esplicitamente la deroga alla normativa citata da parte delle Regioni che, guardando ai principi costituzionali, era già consentita (art. 117 Cost.): alle Regioni spetta la definizione o revisione di strumenti urbanistici […] funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
In Lombardia, si dovrà anche tenere presente che la zonizzazione funzionale non è più scandita dalle lettere dell’alfabeto, anche se i piani di governo del territorio classificano le varie aree secondo criteri parzialmente analoghi.
In buona sostanza, la riforma introdotta non ha influito sulla distanza tra pareti finestrate, pari, nel minimo, a 10 metri per le zone C.
Sul punto si richiama Cass., Sez. 2, n. 15178/2019 con la quale si è affermato che in forza del principio di prevenzione “chi costruisce per primo deve mantenere la distanza di almeno 5 mt dal confine anche se la parete non è finestrata, poiché la ratio sta nel non gravare sul vicino che intendesse successivamente costruire con finestra verso il confine stesso”.
Tornando alla legge di conversione del c.d. sblocca cantieri, è stato osservato (Dalprato): “quindi, non è vero che ci sia stata liberalizzazione in queste aree; anzi, mentre prima si poteva usare uno strumento comunale (il piano particolareggiato) per superare la limitazione del decreto in materia di distanze, oggi non è più possibile perché, “grazie” alla nuova interpretazione, questa metodica vale solo per le zone di nuova espansione”.
Il nuovo sistema normativo non prevede, per le zone B, che la distanza tra fabbricati subisca maggiorazioni rispetto all’altezza dell’edificio più alto se questo supera i 10 metri.
Deve essere riconosciuta ulteriore portata innovativa all’introduzione del comma 1ter all’articolo 2 bis del DPR 380/01 nel disciplinare i limiti delle ricostruzioni a seguito di demolizione.
Si chiarisce che la “ricostruzione” può mantenere le distanze preesistenti legittime purché “sia assicurata la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito e di quello demolito”.
In materia di distanze esiste un ampio contenzioso che potrebbe non essere superato dalla nuova normativa.
Essa, infatti, apre nuove questioni interpretative.
Ad esempio, è lecito domandarsi in che tipo di ristrutturazione si ricada operando ai sensi della norma citata, ove non si richiede la conservazione dell’intera sagoma, ma del solo sedime e del relativo volume.
Se con “coincidenza di volume e sedime” il Legislatore avesse voluto intendere “stessa sagoma” non avrebbe precisato che le distanze preesistenti possono essere mantenute solo “nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo”.
Qualora il Legislatore avesse voluto così esprimersi, non avrebbe necessitato dell’ultimo inciso “nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo”: ciò sarebbe stato implicito nel concetto di sagoma.
Dunque, alla luce della nuova normativa, a parità di volume (mc) e di sedime, il nuovo edificio può anche essere più alto, tuttavia la parte che eccede l’altezza deve rispettare le distanze di legge.
Come affermato dalla dottrina citata (Dalprato) “possiamo comunque dedurre che, normativamente, questo intervento di demolizione con ricostruzione con “coincidenza” di sedime e volumi individua sicuramente una terza categoria di ristrutturazione (un tertium genus) che potremmo definire “ristrutturazione vincolata” o, forse meglio, “ristrutturazione ristretta” più circoscritta di quella dell’articolo 3, lett. d) del DPR 380/01”.
In definitiva, deve osservarsi che la portata realmente innovativa del decreto sblocca cantieri è limitata. La norma interpretativa introdotta, di fatto, consolida un orientamento già esistente in giurisprudenza.
Il solo comma 1 ter, introdotto dall’art. 5, L. 55/2019 a modifica dell’art. 2 bis DPR 380/2001, apporta reali novità in materia di interventi di demolizioni e ricostruzioni, ma la norma, per come è scritta, susciterà certamente dibattiti interpretativi.