Qualche dubbio viene, a fronte di affidamenti senza gara, avvenuti di recente, alle Università. L’Ordine di Como fu antesignano nella tutela degli iscritti ottenendo dal Consiglio di Stato una sentenza ampiamente favorevole. In effetti sia l’Anac che la giurisprudenza hanno chiarito che l’affidamento diretto alle Università può avvenire solo a condizione che l’accordo sia coerente con le finalità istituzionali di ciascuno dei sottoscrittori dell’accordo stesso e senza che si possa configurare una prestazione di servizi, come tale remunerata.
La “comunione d’interessi” può sussistere solo se le Università debbano svolgere attività di ricerca e consulenza e solo in questi ristretti ambiti può affidarsi senza gara il servizio.
Le Università possono concorrere, per gli affidamenti dei servizi, con altri operatori del mercato, ma in regime di concorrenza e nel rispetto del codice dei contratti.
Al definitivo, le prestazioni libero professionali devono rimanere in capo ai professionisti che se ne assumono rischi e responsabilità (vedi S. Valaguzza, “Le regole per gli affidamenti alle Università senza gara”).
Il Consiglio di Stato, nella citata sentenza (n. 1418/2017), ha richiamato la precedente, n. 3130/2014, che aveva affermato: “E’ quindi da escludere la configurabilità di una cooperazione tra enti pubblici “finalizzata agarantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi” (§ 35-40 della ordinanza Corte di Giustizia), per il fondamentale rilievo che nel caso di specie difetta la comunanza tra gli enti pubblici stipulanti dell’elemento teleologico.
Deve prima di tutto essere precisato che nella questione in esame rientra anche quella relativa alla possibilità che detto contratto sia riconducibile allo schema degli accordi tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 l. n. 241/1990. Quest’ultimo infatti contempla una delle possibili forme di cooperazione tra enti pubblici, comunque imperniato sul carattere “comune” delle attività il cui svolgimento viene con essa disciplinato.
Giova sul punto ricordare che le direttive sugli appalti, come tutto il diritto europeo, devono essere applicate sulla base di un approccio funzionale, e cioè in modo coerente con gli obiettivi ad esse sottesi. I quali consistono, in positivo, nell’imporre alle amministrazioni il rispetto della concorrenza laddove debba affidare attività economicamente contendibili e, conseguentemente, in negativo, nell’escludere l’operatività di detti imperativi quando non vi siano rischi di distorsioni del mercato interno, giacché in questo caso vi sarebbe un’eccedenza dei mezzi rispetto agli scopi anzidetti.
Visti nel prisma del diritto europeo, quindi, gli accordi tra pubbliche amministrazioni previsti dalla legge generale sul procedimento amministrativo sono necessariamente quelli aventi la finalità di disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni elencate nell’allegato II-A alla direttiva 2004/18 di coordinamentodegli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture. Il contenuto e la funzione elettiva degli accordi tra pubbliche amministrazioni è pertanto quella di regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti.
Il Collegio reputa infatti che la pronuncia della Corte di Giustizia chiarisca il contrasto tra i principi comunitari da un lato ed alcune pronunce di questa Sezione che hanno reputato legittimo l’affidamento a titolo oneroso tra pubbliche amministrazioni di un servizio ricadente tra i compiti di uno degli enti (sentenze 12 aprile 2007, n. 1707; 13 luglio 2010, n. 4539; 10 settembre 2010,n. 6548).
Qualora un’amministrazione si ponga rispetto all’accordo come operatore economico, ai sensi di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 23 dicembre 2009, in C 305/08, prestatore di servizi ex all. II-A più volte citato e verso un corrispettivo anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi.
La dottrina interna aveva già intuito questa antiteticità tra accordi e contratti, avendo coniato con riguardo ai primi l’espressione contratti “ad oggetto pubblico”, ponendone quindi in rilievo la differenza rispetto al contratto privatistico ex art. 1321 cod. civ., del quale contengono solo l’elemento strutturale dato dall’accordo ai sensi del n. 1 della citata disposizione, senza che ad esso si accompagni tuttavia l’ulteriore elemento del carattere patrimoniale del rapporto che con esso si regola.
Come nel contratto, le amministrazioni pubbliche stipulanti partecipano all’accordo ex art. 15 in posizione di equiordinazione, ma non già al fine di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale, bensì di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune.
Il quale coordinamento può anche implicare la regolamentazione di profili di carattere economico, ma come necessario riflesso delle attività amministrative che in esso sono interessate.
Nella prospettiva ora accennata deve essere apprezzato il carattere “comune” alle amministrazioni stipulanti dell’interesse pubblico perseguito, che vale a distinguere gli accordi dai contratti.
Pertanto, il predicato in questione può essere soddisfatto solo quando vi sia una “sinergica convergenza” su attività di interesse comune, pur nella diversità del fine pubblico perseguito da ciascuna amministrazione.
Ma è proprio questa convergenza a difettare nel caso di specie, perché il contratto in contestazione è inquadrabile nel paradigma generale previsto dall’art. 1321 cod. civ., essendo caratterizzato dalla patrimonialità del rapporto giuridico con esso costituito e disciplinato, a causa della riconducibilità delle prestazioni demandate all’Università di Pavia ai servizi di cui alle categorie 8 e 12 dell’allegato II-A alla direttiva 2004/18 e del fatto che queste sono destinate ad essere fatte proprie dall’Amministrazione comunale affidante”.
Si tratta di attività quali la predisposizione degli atti del Piano di Governo del Territorio ed altre attività professionali da sempre svolte dai professionisti e che richiedono impegno, esperienza e dedizione.
Sottrarre tale attività ai professionisti costituisce una forte limitazione della loro stessa vita professionale.
Avv. Mario Lavatelli