IL CARICO URBANISTICO E L’ARABA FENICE

IL CARICO URBANISTICO E L’ARABA FENICE

Giurisprudenza

di Mario Lavatelli
Avvocato, consulente legale dell’Ordine

Il carico urbanistico viene connesso dal regolamento edilizio tipo (dpcm 20/10/2016) al “Fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento in relazione alla sua entità e destinazione d’uso. Costituiscono variazione del carico urbanistico l’aumento o la riduzione di tale fabbisogno conseguenti all’attuazione di interventi urbanistico-edilizi ovvero a mutamenti di destinazione d’uso”. La dotazione territoriale, secondo il regolamento è costituita da “Infrastrutture, servizi, attrezzature, spazi pubblici o di uso pubblico e ogni altra opera di urbanizzazione e per la sostenibilità (ambientale, paesaggistica, socio-economica e territoriale) prevista dalla legge o dal piano”.

Il fabbisogno è riferito al “numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche delle attività da costoro svolte” (Cass. Sez un. 12878/03 cit. da Carlo Pagliai in Carico urbanistico: parametro principale dell’edilizia, ma vedi anche Consiglio di Stato n. 8906/2022 e TAR Friuli-Venezia Giulia n. 220/2024).

La nozione di carico urbanistico rileva nei casi di cambio di destinazione d’uso senza opere o con opere che comportano la creazione di nuove superfici utili.
Non conta il parametro del volume perché esso può essere realizzato in sola altezza senza aumento della superficie di calpestio (cfr. G.C. Mengoli).

Occorre però osservare che il mutamento di destinazione d’uso incidente sul fabbisogno di dotazioni territoriali, essendo connesso agli abitanti insediati ed alle attività da loro svolte, può comportare l’aumento del carico urbanistico, ma anche la sua diminuzione.
Devono evitarsi previsioni astratte, anche se espresse negli strumenti urbanistici generali, che possono risultare discutibili se non è certo l’incremento della domanda di strutture ed opere collettive, tenuto conto delle attività svolte e fermo restando che i mutamenti senza opere, c.d. funzionali, sono per loro natura sempre e facilmente reversibili.
La L.R. della Lombardia n. 12/2005, all’art. 52 n. 3 bis, disciplina i mutamenti di destinazioni di immobili finalizzate alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali.
Tale disciplina si limita ad assoggettare i cambi a permesso di costruire, ma non imprime una disciplina preventiva.
Il presupposto per provvedimenti limitativi è spesso costituito dalla generica enunciazione dell’incremento del carico urbanistico, ma non risulta verificato un incremento della domanda di strutture ed opere collettive tanto più che i luoghi di culto ed i centri sociali, secondo la legge lombarda, sono definiti opere di urbanizzazione secondaria (art. 44 n. 4 L.R. 12/2005).

Al definitivo, non è chiarito dalla normativa quale possa essere la connessione tra insediamento di luoghi di culto o di centri sociali con un correlativo fabbisogno di dotazioni territoriali, ad eccezione forse solo dei parcheggi.
In tutti i cambi di destinazione d’uso, si tratterebbe di considerare l’estensione della verifica sulla sufficienza della dotazione di aree per servizi e attrezzature di interesse generale quale fondamentale principio urbanistico regolativo degli insediamenti, che richiede una adeguata istruttoria ed una corrispondente motivazione nei relativi provvedimenti siano essi di assenso o di diniego.

Una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (Sez. III, 9.12.2024, n. 9823) ha richiamato la giurisprudenza secondo la quale: “L’accertamento del maggior carico urbanistico, che giustifica la necessità del permesso di costruire e la corresponsione dei relativi oneri di urbanizzazione, “assolve alla prioritaria funzione di compensare (….) la collettività “per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti” (v. Cons. Stato, sez.VI, 7 maggio 2015, n. 2294; id., 7 maggio 2018, n. 2694 e 29 agosto 2019, n. 5964 )” (Consiglio di Stato, sez. II, sentenza n. 5297/2022).

La nozione di cui si discute è dunque una nozione relazionale, e precisamente differenziale: l’incremento del carico urbanistico si accerta infatti in relazione ad un supposto aumento di esternalità negative, sull’area considerata, conseguente al mutamento di destinazione d’uso, rispetto agli effetti prodotti dalla destinazione precedente”.
Inoltre, la sentenza afferma: “In altre parole, non è affatto scontato che il mutamento funzionale produca di per sé una variazione del carico urbanistico (specie se non si ha adeguata contezza del dato iniziale di raffronto), e soprattutto che la produca in peius. Anche la giurisprudenza che ritiene che un mutamento funzionale “tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee” (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 6562/2018) incida in quanto tale sul carico urbanistico, richiede infatti che il maggiore impatto così presunto sia comunque “da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti” (ferma restando, comunque, la difficoltà di qualificazione delle destinazioni che qui vengono in considerazione, in relazione alla disciplina portata dall’art. 23-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel testo vigente ratione temporis).

L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, nella sentenza n. 22 del 2021, ha espressamente indicato alcuni indici di mutamento del carico urbanistico in elementi non presuntivi, ma differenziali: richiedendo che “l’aumentato carico urbanistico” si manifesti “in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico”. La sentenza n. 7261/2023 della VI Sezione di questo Consiglio di Stato ha chiarito che “per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti” (nello stesso senso sez. II, sentenza n. 235/2022)”.
Rimane indubbiamente la necessità di fissare parametri normativi, pur dovendosi considerare che non è agevole dettagliare in quantificazioni applicabili fondatamente “caso per caso”.
Certo, in assenza di tali previsioni, si rischia una genericità sempre censurabile.
È questione di cura concreta degli interessi pubblici, come deve essere una corretta amministrazione, senza generiche previsioni che gravano sui privati indiscriminatamente e, pertanto, si tratta “a monte” di fissare i criteri concreti e, “a valle”, di compiere un’istruttoria accurata, in assenza della quale il riferimento ad un preteso incremento del carico urbanistico somiglierebbe all’enunciazione dell’araba fenice: “Che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.

Avv. Mario Lavatelli

di Mario Lavatelli
Avvocato, consulente legale dell’Ordine