EtnaTrail 2018: come (soprav)Vivere ad una favola.

EtnaTrail 2018: come (soprav)Vivere ad una favola.

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foto e articolo di Cristina Pacher

Un lunedì di luglio di tre anni fa ho conosciuto Francesca, una ragazza stupenda e speciale. Lei era appena tornata dall’EtnaTrail e grazie al  i suoi racconti ricchi di vita, entusiasmo e passione è nata una grande amicizia e l’amore per la corsa. Dopo un anno di dolori e riabilitazione riprendo a camminare abbastanza bene e provo i 12 km. Da li capisco che, in barba ai pareri negativi, posso riprendere a sognare e a rincorrere la mia vita. Il 22 luglio 2018 son alla partenza dei 24 km e provo sentimenti contrastanti tra paura e felicità. Ho lo zaino strapieno di sali e acqua perchè l’Etna non è una montagna qualsiasi. Devi essere autosufficiente, devi avere un cuore forte per farti rispettare e imparare ad amarla. Fin dall’inizio son ultima ma non m’importa perchè la mia sfida è riuscire ad arrivare, con la forza per guidare da sola verso casa dalle mie cucciolotte.

Conosco Pippo e Nicola che mi fanno da angeli custodi; la loro simpatia è dilagante, non sento affatto i km che percorriamo.  Qualcuno devia per i 12 e Nicola mi chiede più volte se voglio seguire anch’io ma non demordo, io so che posso farcela, io DEVO FARCELA. Se avessi voluto un selfie da far vedere agli amici sarei rimasta in riva al mare con la granita in mano a prendere il sole, invece mi son svegliata alle 430, ho visto un’alba stupenda guidando sola verso Linguaglossa e ora voglio sfidare la montagna e me stessa.Lungo alcuni costoni giochiamo con le termiche che son davvero molto forti. Soccorriamo una francese, poi si prosegue.Ad un certo punto i ragazzi tornano indietro perchè scopriamo che ci son altre persone dietro di me e io proseguo in solitaria. Bevo un po’ e poi inizia la salita aspra tra la bassa macchia mediterranea e sotto il sole cocente. Sento i borbottii da MUNTAGNA e il fragore del vento che sferza chissà dove e penso perchè, perchè, perchè ,PERCHE’ ho deciso di far tutto questo??!! Ormai non posso fermarmi, qui i soccorsi non potrebbero arrivare e sarei solo un carrozzone per gli altri. Un maltese è accovacciato, mi dice che sta bene e che ha acqua e così proseguo. La risposta non tarda ad arrivare: la valle del Bove è li davanti a me. L’immensità di questo posto mi da un’energia e una carica indescrivibile. E’ la salita di Saracozzo e i miei occhi sono estasiati. Cerco di catturare più fotogrammi possibili da conservare nel mio cuore. Proseguo e vado sempre più in su. Mille violini suonati dal vento che ti sferzano e a volte trasportano piccole pomici nere che sulla faccia sembrano proiettili. Un baratro nero, lunare e ripido più di centinaia di metri è alla mia destra. Vedo la famosa schiena d’asino che separa il deserto di lava dal cielo.  Gli spazi sono immensi, io mi sento un microbo ma  parte di tutto questo. Io e la Montagna abbiamo baltibeccato ma son certa che ora ci amiamo tanto. Rocce plasmate dal vento dalle forme più insolite mi salutano. La macchia mediterranea con i suoi cespugli a pecorelle verdi a tocchi gialli, arancioni e rossi che interpuntano il nero di pietruzze laviche, bela sul lato sinistro. Quando le affianco decine di insetti strani mimetizzati come piccole pomici saltano fuori  … e poi l’odore aspro e pungente misto a polvere mi entra nelle narici.Loro esistono e hanno sfidato la lava riportando la vita dove era rimasta assente per centinaia di anni. Il sole e il vento creano sfumature cromatiche pazzesche e non so dove perdere lo sguardo. Mi sento piccola e felice. La mia fatica ha un senso, profondo oltre ogni sentire. Un signore spagnolo è fermo per i crampi, ha acqua e sali e lo rassicuro con l’arrivo degli uomini”scopa” ma dentro di me penso che sarà dura portarlo via da qui, dove perfino gli elicotteri faticherebbero ad arrivare. Nei punti strategici c’è sempre qualcuno dello staff pronto a regalarti un sorriso, un po’ d’acqua o un incoraggiamento. Non mi tocca che scendere per il canalone e nel frattempo lo Spagnolo ricaricato dalla propria tenacia e  dai vari susiti e camina che sei spagnolo e non puoi mollare di Pippo e Nicola, mi viene dietro . Mi sento bambina, faccio bordi come col surf , a volte mi sembra di sciare, a volte di affondare in biscotti, a volte di fare il saltamedusa come Dorin. Le ghette son fantastiche non entra nulla nelle scarpe. In preda all’euforia scendiamo troppo. Con la coda dell’occhio vedo Grazia che cerca di dirmi qualcosa  e mi fermo;così capisco che devo ritornare su perchè bisogna scollinare dalla parte opposta. Il gruppo continua ma i ragazzi dell’Etna pian piano li riconducono sulla retta via. Si prosegue si scende e si risale… e poi vedo Francesco ad attendermi alla fine di questa avventura. All’inizio non lo riconosco, poi son felice e onorata perchè oltre a essere sia un grande campione che un grande Uomo, lui è una parte importante dell’Etna. Ci prendiamo per mano e passiamo il traguardo dove le mie compagne di avventura, Maria e Paola, mi aspettano. Loro sanno cosa vuol dire e un abbraccio vale più di mille parole. Fuoco nel mio cuore, fuoco sotto i piedi, fuoco attorno a me, fuoco negli occhi degli organizzatori che ti accolgono e da buoni siciliani son pronti a condividere tutto, soprattutto la birra e il cibo, scherzando e sorridendo di cuore. Ho fatto il pieno di emozioni ed energie, arrivederci al prossimo anno!

foto e articolo di Cristina Pacher