IL CONSIGLIO DELL’ORDINE: PRINCIPIO DI COLLEGIALITÀ

IL CONSIGLIO DELL’ORDINE: PRINCIPIO DI COLLEGIALITÀ

IL CONSIGLIO DELL’ORDINE: PRINCIPIO DI COLLEGIALITÀ.

L’art. 3.4 del regolamento del Consiglio dell’Ordine aggiornato al 27.9.2017 prevede: “il Consiglio lavora collegialmente”.

È noto  il significato etimologico dell’avverbio “collegialmente” che coincide con quello di “collega – colleghi”, vale a dire di persone che sono delegate insieme in una carica.

In termini generali, la dottrina afferma: “gli organi collegiali sono costituiti da una pluralità di componenti che concorrono in modo simultaneo ed in condizioni di uguaglianza alla formazione di un unico atto. In essi le manifestazioni di volontà o di giudizio espresse dai singoli membri si unificano per dar luogo ad un atto unitario che è espressione del collegio nel suo insieme” (P. Virga).

Si distingue tra collegi perfetti e collegi imperfetti, laddove i primi esercitano prevalentemente funzioni di giudizio e sono composti da esperti delle materie che formano oggetto del giudizio, mentre i secondi esercitano essenzialmente funzioni di gestione ed i loro componenti sono generalmente designati dai gruppi sociali, professionali, sindacali o politici.

I Consigli degli Ordini sono collegi imperfetti che deliberano a maggioranza.

“L’organo collegiale è una formula organizzatoria molto raffinata che consente di tenere separati gli interessi dalle potestà, istituzionalizzando unità organizzative distinte: gli interessi fanno capo ai singoli componenti il collegio; le potestà al collegio. Gli interessi dei singoli componenti il collegio sono alieni e mai personali come ha precisato la giurisprudenza (…)” (G.B. Verbari in Enc. Dir. voce Organi collegiali).

In particolare, si può rilevare che nei collegi professionali l’opinione delle minoranze non ha giuridica rilevanza: “(…) tenendo presente la dialettica potestà – interessi e il tipo di interessi di cui sono poratori i singoli componenti: cioè, avendo riguardo al rapporto d’ufficio dei componenti. I collegi professionali sono tutti portatori dello stesso interesse, quindi dal rapporto d’ufficio dei componenti il collegio consegue che se vi sono delle opinioni dissenzienti nella formazione della volontà del collegio, esse non hanno alcuna rilevanza giuridica perché tali opinioni non sono il portato di interessi contrastanti, ma di convinzioni personali. In sintesi, la volontà dell’organo non ha come presupposto una scelta operata sulla base di una pluralità di interessi contrapposti, ma di una valutazione effettuata da più soggetti che sono poratori del medesimo interesse” (Verbari, ibidem).

Ed ancora: “Non è quindi la posizione personale dei componenti il collegio che ha rilevanza giuridica nel momento volitivo del collegio, ma l’interesse di cui tali unità organizzative sono portatrici”.

Le considerazioni che si sono riprodotte possono valere forse ad una valutazione corretta della funzione dei consiglieri degli Ordini professionali, ben diversa da quella dei collegi politici i cui componenti sono portatori di interessi differenziati e, spesse volte, addirittura contrapposti.

I consiglieri degli Ordini professionali sono stati eletti e svolgono una funzione che risponde ad un interesse unitario e certamente non personale, vale a dire all’interesse dei professionisti iscritti, peraltro obbligatoriamente, all’Ordine di appartenenza, nel rispetto della legge professionale.

In forza di queste semplici osservazioni è agevole comprendere che nei Consigli degli Ordini  professionali dovrebbe regnare un’armonia di fondo tra tutti i consiglieri proprio perché, al definitivo, essi devono tutelare quell’unico interesse comune al cui perseguimento sono congiuntamente tenuti per effetto della delega espressa nella votazione degli iscritti che ha dato luogo alla loro elezione.

Le eventuali diverse opinioni dissenzienti, perfettamente ammissibili ed utili spesso ad approfondire le questioni e raggiungere una ponderata decisione, come ha chiaramente affermato la citata dottrina, non hanno rilevanza giuridica e quindi recedono una volta che si è formata ed espressa la volontà  dell’organo mediante la deliberazione consiliare.

Fermo restando che nel Consiglio non sono configurabili rapporti di sopraordinazione tra i componenti, la posizione peculiare del Presidente del collegio, come affermato dalla stessa dottrina citata, “rispetto agli altri componenti deriva dal fatto che tale unità organizzativa, anche se è portatrice di uno specifico interesse al pari degli altri componenti, ha pur sempre in attribuzione un interesse generale che è quello del funzionamento del collegio. Talchè la posizione del presidente, essendo funzionalmente diversa rispetto a quella degli altri componenti il collegio, sostanzia delle potestà che con formula organizzatoria possono anche essere definite come di primazia, finalizzate a permettere il funzionamento del collegio” (Verbari, ibidem).

Egli, proprio nel perseguimento dell’obiettivo principale, vale a dire il buon funzionamento del Consiglio, che è quanto dire il “buon andamento” di cui all’art. 97 Cost.,  deve tendere ad una mediazione delle diverse opinioni, in modo da consentire la concretizzazione della volontà del Consiglio.

Purtroppo, vi sono stati casi di malfunzionamento dei Consigli degli Ordini degli Ingegneri per effetto di dissidi interni che hanno portato a dimissioni della metà dei componenti il collegio.

Esso, pertanto, non poteva più considerarsi validamente costituito, mancando il quorum.

Ne è seguita la nomina di un commissario straordinario con decreto ministeriale.

Si tratta di un’evenienza assolutamente straordinaria che dovrebbe essere evitata il più possibile, proprio nell’interesse degli iscritti.

 

Avv. Mario Lavatelli